sabato 27 agosto 2016

In Mourning - Afterglow: Una nuova vita al progressive death metal

(Recensione di Afterglow degli In Mourning)


E' molto interessante vedere che, nella musica, quando un gruppo decide di cambiare direzione ed adottare un nuovo genere quel passato rimane come un'eredità pronta ad essere raccolta da qualche altro gruppo. Ci sono dischi, o periodi, di certe band che sono state fondamentali per la crescita di altri gruppi, delle linee guide che sono state, poi, approfondite da questi "eredi".



Questo è il processo che c'è dietro agli In the Mourning dei quali vi parlo quest'oggi grazie al loro ultimo disco, intitolato Afterglow
Basta un primo ascolto per farsi venire alla mente il progressive death metal  glorificato dagli Opeth. La formula è quella che conosciamo molto bene: base ritmica solida, veloce e tecnicamente encomiabile, chitarre con ruoli molto diversificati che dialogano alla perfezione ricavandosi momenti di assoluto protagonismo e, per finire, una voce energica che canta prevalentemente in growl ma che non disdegna certi interventi puliti, molto graditi. Il risultato potrebbe perfettamente inserirsi nella prima parte della discografia degli Opeth.
Questo è il primo sguardo, o ascolto, che porterebbe qualche ascoltatore superficiale a non voler approfondire l'analisi di questo lavoro. Il mio compito, invece, è quello d'illustrarvi il perché questo lavoro merita di entrare nei vostri ascolti attuali.



Afterglow è un disco diretto ma complesso allo stesso tempo. I brani sono tutti molto lunghi, il più corto dura 6 minuti, ma non pesano, non sono reiterativi. Riescono a svilupparsi con un senso compiuto e finiscono per costruire dei racconti sonori, e non solo, che s'intrecciano molto bene. Il ruolo delle chitarre, suonate da Björn Petterson e da Tin Nedergard, è fondamentale perché si giostrano creando dei percorsi che s'incontrano per poi allontanarsi e così via. Non è l'unica virtù di questo binomio ma, e questo è il punto principale che allontana i In Mourning dai prima esaustivamente citati Opeth, la loro ricerca sonora abbraccia altri generi che potremmo inglobare come alternative metal dando un tocco di grandissima originalità alla band. In quei momenti vengono fuori certe similitudini con i Katatonia, e guarda caso l'attuale batterista della band, Daniel Liljekvist, prima suonava con loro. In questi momenti la voce pulita di Tobias Netzell è molto gradita perché da un tocco di grande unicità che invece si perde un po' col growl. A completare il quadro c'è l'altro membro fondatore del gruppo insieme a Netzell. Si tratta del bassista Pierre Stam che compie molto bene il suo ruolo senza spiccare fuori.



Personalmente i momenti che più mi hanno accattivato di questo Afterglow sono quelli istanti nei quali la band elargisce i propri orizzonti musicali e lascia un po' fuori quel progressive death metal. E' lì che si apprezza  l'originalità del gruppo, l'impronta che si distoglie da un insieme per diventare unica. Queste parti vengono molto ben collegate col resto delle canzoni ed è interessante vedere il percorso seguito per arrivare a quel punto.
Un bel esempio che possiamo usare per illustrare quest'idea è la terza traccia del disco, Ashen Crown, canzone liricamente molto epica ma che diventa fresca e molto interessante grazie al cambio inaspettato di registro musicale.

Tirando le somme Afterglow è un disco che farà le delizie degli amanti del death metal melodico e progressivo ma che ha il pregio di non rimanere inchiodato a quell'unica denominazione. Le "contaminazioni" sonore che gli In Mourning aggiungono danno delle sfumature bellissime regalando momenti d'unicità graditissimi. 

Voto 8/10
In Mourning - Afterglow
Agonia Records
Uscita 20.05.2016

giovedì 25 agosto 2016

Dischi d'ascoltare (almeno) una volta nella vita: Souvenirs dei The Gathering

(Recensione di Souvenirs dei The Gathering)


Correva l'anno 2003 e vivevo a Madrid. In quei anni mi sono tolto parecchie soddisfazioni per quanto riguarda i live e quando ho saputo che gli olandesi dei The Gathering avrebbero fatto tappa nella capitale spagnola non ho dubitato neanche due secondi nell'andar a vederli. Mai scelta è stata più giusta. Le due ore di concerto sono state un rito collettivo operato in perfetta sintonia. Ricordo che per qualche secondo ero riuscito a distogliere lo sguardo dal palco scenico per girarmi. Quello che ho visto è stato un insieme nutritissimo di persone rapite dalla musica che in modo naturale riproducevano col proprio corpo il ritmo e la dinamica di quello che veniva suonato. Sono passati 13 anni e continuo a ricordarlo come se fosse ieri. I The Gathering presentarono, in quel concerto, il loro settimo disco: Souvenirs. Non avevo mai sentito alcun brano di quel lavoro e dopo la fine del concerto, avendo recuperato la consapevolezza di essere sveglio, mi sono precipitato al banchetto dove lo vendevano e l'ho acquistato. Nei giorni successivi, o settimane, o mesi, non riuscivo a fare a meno di ascoltarlo e riascoltarlo. Quell'ora di musica era un compendio di emozioni, di momenti, di sfumature. Certe canzoni mi emozionavano, altre mi davano una carica unica. C'erano momenti d'introspezioni ed altri di urla. C'era tanta, ma tanta, bellezza ma, nello stesso tempo, tanta forza. Adesso sono qua per raccontarvelo.



Souvenirs è il primo disco autoprodotto dalla band olandese e personalmente rappresenta il punto più alto della loro carriera. E' un nuovo passo in avanti nella direzione che era già abbastanza chiara nei due dischi precedenti, How to Mesure a Planet? del 1998 e If Then Else del 2002. Cioè l'abbandono del metal come componente principale della musica della band per addentrarsi in acque molto indefinite che spesso vengono catalogate come alternative rock. La bellezza di questo percorso è che non c'è band al mondo che sia riuscita ad esprimersi come i The Gathering. Banalmente quello che salta all'orecchio è la bellezza della voce di una delle cantanti più carismatiche del rock: Anneke Van Giersbergen, l'utilizzo sperimentale della chitarra di René Rutten e le ampie contaminazioni elettroniche di Frank Boeijen. Facile da replicare! Basta avere una cantante con una bella voce, un chitarrista che ama perdersi tra gli effetti e un tastierista che abbia masticato gli anni 90 soprattutto nella corrente Bristol. Ed invece non è così, perché questo disco è molto altro, è un'opera corale dove gli altri due strumenti presenti: basso e batteria sono fondamentali e chiudono perfettamente il cerchio. 



L'aspetto inimitabile di questo disco, che lo fa stare un gradino sopra a tutto il resto della bellissima discografia dei The Gathering, è la convergenza di sforzi e la sperimentazione sonora. Certe cose di apprezzano meglio con le cuffie e questo è un disco da ascoltare così. In questo modo si apprezzeranno a pieno le modifiche sonore alle quali sono soggetto tutti gli strumenti in diversi punti. Even the Spirits are Afraid è un esempio perfetto. La seconda traccia del disco si apre con una linea di batteria che a cicli alterni vede il rullante secco o pieno di reverb.  Non sono semplici sfumature ma è la costruzione di un lavoro intenso dove "il suono" ha un protagonismo unico. Il basso viene distorto quando deve riempire in un certo modo, la chitarra è una montagna russa di effetti che vanno e vengono, le tastiere sono oscure, intense e degne del miglior gruppo di trip hop e la batteria è versatile, quasi jazzistica in certi punti e non è mai banale. Una costruzione sonora sulla quale la voce della Van Giersbergen ha tutto lo spazio per divertirsi senza fuggire, però, a essere modificata quando è necessario. 



Souvenirs è intenso. Si apre con These Good People è si capisce subito che è un disco diverso da tutto quello che la band ha fatto fino ad allora. Basta pensare che la chitarra sembra sommersa, quasi inesistente, ed invece c'è pronta a guarnire al meglio il piatto presentato. 
Di Even the Spirits are Afraid ho già parlato per via del lavoro sulla batteria ma bisogna aggiungere altre parole perché siamo di fronte ad uno dei migliori brani del disco. E' un trip da lucidi, è una galleria di luci che ci circonda, è spettrale e psichedelico, è un crescendo che esplode con un riff squisito di chitarra, insomma: una meraviglia.
La bellezza ci viene regalata dai prossimi due brani Broken Glass e You Learn About It. Nel caso della prima è una bellezza nostalgica, di sorrisi alla distanza, di ricordi. La seconda è forse la canzone più pop del disco ed è il momento di regalare il protagonismo alla cantante. E' un brano che innamora. 
Andando avanti Monster rappresenta il momento più forte e diretto del disco. Basso e chitarra si divertono tra distorsioni e riff ripetitivi. 
Jelena invece è devastante. Ha il downtempo del doom senza esserlo per niente e fa capire che custodisce un messaggio personale prezioso. 
Ultimo brano da consigliare: la ghost track chiamata A Life All Mine. Cantata insieme a Kristoffer Rygg degli Ulver è l'unica canzone dove l'elettronica ha il protagonismo ed il contrasto dei registri delle voci fa di questo brano un regalo, un plus meraviglioso che dona un'altra sfumatura ad un disco perfetto.
Vi lascio scoprire da soli gli altri brani.

Souvenirs è un disco che dimostra che suonare non è soltanto avere il controllo del proprio strumento ma sapere che limiti oltrepassare. E' un disco meraviglioso costruito come si progetta e costruisce una casa. E' un disco pieno di sfumature che regala ad ogni ascolto nuove letture e che, alla distanza degli anni, continua ad emozionare. I The Gathering non sono mai stati così brillanti ed unici. Servono tanti altri dischi come questo per rapire tanti altri pubblici. 

Voto 10/10
The Gathering - Souvenirs
Psychonaut Records
Uscita 24.02.2003

martedì 23 agosto 2016

L'Oracolo dell'Underground: Le prossime uscite 2

Proprio in questi giorni è stata diffusa la notizia che in Italia nel 2015 sono stati venduti più dischi "vecchi" che nuove uscite. E' un segnale che deve portare a riflettere in modo approfondito e non lasciarsi andare ad una dichiarazione del tipo: "ormai non si fa più musica di qualità". Questo blog, in qualcosa di più di due mesi, mi è già servito per recensire un bel po' di musica attuale di grandissima qualità ma che, purtroppo, molto spesso rimane in un ambito molto underground.
Sarebbe, dunque, il caso che le grandi multinazionali puntassero di più alla qualità e meno ai prodotti di largo consumo che diventano dei propri e veri "usa e getta".
Per fortuna il panorama, per chi ha deciso di navigare all'ombra, è molto ricco e nei mesi successivi ci godremo diversi dischi nuovi. 
Vi ricordo che il 25 luglio vi avevo parlato dei prossimi lavori di: Devin Townsend, Opeth, Korn, Litfiba, Riverside, Pain of Salvation, GlerAkur, Soen e Blindead. Il post in questione potete leggerlo qui.
Vediamo adesso che altre uscite sono dietro l'angolo.



Il 30 Settembre uscirà l'atteso nuovo lavoro dei francesi Alcest. Avrà per nome Kodama ed un primo assaggio è stato dato dal singolo Oiseaux de Proie.






Andiamo al mondo del post metal che si nutrirà di un nuovo disco. Il 7 Ottobre sarà il turno di Mouth of The Architect. Il loro nuovo disco si chiamerà Path of Eight ed è stato anticipato dal brano Drown the Old.





Parlando dei gruppi più famosi i Metallica hanno creato una grande aspettativa grazie a Hardwired, primo estratto del loro prossimo disco d'inediti che uscirà il 18 novembre e che si chiamerà Hardwired.... To Self-Destruct. Questo primo singolo ha un'aggressività che riporta, in parte, alla luce il thrash metal che è stato il loro primo marchio di fabbrica. 



domenica 21 agosto 2016

Darkher - Realms : la bellezza infinita dell'oscurità

(Recensione di Realms di Darkher)


Il debutto. Che concetto variopinto. Iniziare in un determinato modo può non significare nulla o, invece, può dare il via ad un grande successo o ad una clamorosa sconfitta. Nella musica debuttare bene significa, qualche volta, reggere un peso molto grande perché tutti si aspetteranno che i passi successivi siano, quanto meno, all'altezza di quel primo lavoro. Invece abbiamo tanti esempi di gruppi che si sono sudata la maglia prima di avere la riconoscenza voluta.

Credo che sia chiaro che oggi vi parliamo di un debutto, almeno per quanto riguarda il formato LP. A firmare quest'opera prima è un'artista che si rifugia dietro il nome di Darkher e che, all'anagrafe, risponde al nome di Jayn H. Wissenberg. Il disco che recensiamo, con infinito entusiasmo, s'intitola Realms ed è una meraviglia.



Questo è un lavoro in bianco e nero dove il nero è molto più predominante del bianco. E' un lavoro di luci in mezzo alla nebbia. E' un lavoro che fa venire in mente la poetica di Edgar Allan Poe perché è spettrale e romantico allo stesso tempo. Ma la cosa fondamentale è che è un lavoro genuino senza alcun tipo di forzatura. Non ci sono imposizioni stilistiche o musicali. E' un disco che suona come deve suonare. E' di una bellezza sconvolgente, è ipnotico per l'insistenza maniacale con la quale si ripetono certe linee di chitarra su delle batterie che marciano instancabilmente senza mai correre. Questa è la base alla quale vengono aggiunte un'infinità di tracce distorte, di suoni che sembrano non finire mai, di cori stregati. Non vi basta? Neanche a me. A questo punto entra in gioco l'elemento fondamentale: la voce. La Wissenberg canta divinamente ed è un passo avanti a due voci squisite come quelle di Natasha Khan dei Bat For Lashes e della grande Chelsea Wolfe. Non è un complimento da poco ma è meritatissimo. Nel gioco dei contrasti, che spesso donna il potere dell'unicità, la base strumentale e la voce sono gli opposti che si cercano, si trovano e non si sopportano. La musica è acida, cattiva, oscura; la voce è celestiale, pulita, incantevole. La musica si esalta con la voce e viceversa. E' quel tocco in più che fa la differenza. I paragoni con la Wolfe potrebbero essere tanti ma Darkher ha il coraggio di osare molto di più, di esaltare i contrasti, di abbracciare di più l'oscurità.

Realms è un disco che finisce troppo presto, e non perché sia corto. I tre quarti d'ora distribuiti in nove canzoni sono intensi ed avvolgenti ma lasciano l'ascoltatore con sete. Si può fare un complimento maggiore? E' il potere ipnotico che sa di stregoneria. E' un incantesimo che ci trasporta in un bosco a mezzanotte sapendo che l'unica via d'uscita è quella di inseguire quella voce senza chiederci dove ci porterà.



L'aspetto meraviglioso di questo disco è che non è un lavoro complesso. Non basa la sua buona riuscita nella quantità ma ci dimostra come giocando con la dinamica, con i respiri, con gli strati sonori si può essere molto più diretti ed effettivi. Non ci sono virtuosismi ma il risultato finale è perfetto perché arriva in blocco e non lascia la tua testa. E' un disco che ti fa venire voglia di vedere Darkher dal vivo col grande sospetto che l'incantesimo sarà ancora più intenso.



L'ascolto di Hollow Veil è un primo assaggio di quello che è l'intero disco. Il brano si apre come un processione spettrale della quale siamo testimoni. Guardiamo con paura e fascino ma con la sicurezza di stare a distanza, o almeno è quel che crediamo. Ad un certo punto anche noi facciamo parte di quella processione e non possiamo fuggire. Ecco, l'incantesimo ha funzionato.
Wars invece è la grinta. Le urla delle chitarre vengono messe in ordine da una linea di batteria squisita. E' maestosa, è una celebrazione scura.
Per finire vi consiglio Lament, ultima traccia del disco. Come indica il suo nome questa è una canzoni viscerale ed intima. Viscerale perché tira fuori con urgenza qualcosa che abbiamo dentro ma è intima perché diventa un messaggio per pochi, per quelli che sanno ascoltare.

Realms è un disco senza tempo. E' un debutto impressionante che catapulterà Darkher ad una posizione privilegiata. Quella di quelle muse oscure, di quelle voci celestiali affascinate con l'ombra. Così come indica il nome del progetto c'è la parte migliore di essere femmina, quella bellezza pura, e viene messa al servizio dell'oscurità. Un contrasto meraviglioso che da secoli e secoli affascina l'uomo. Realms è una perla nera da tenersi stretto. 

Voto 9,5/10
Darkher - Realms
Prophecy Productions
Uscita 19.08.2016

venerdì 19 agosto 2016

The Pineapple Thief - Your Wilderness: Una finestra aperta su noi stessi

(Recensione di Your Wilderness dei The Pineapple Thief)


Ogni persona ha un suo carattere, un modo di presentarsi al mondo e di interagire con gli altri. C'è chi fa dell'estro il suo punto di forza ed è abituato ad essere il centro dell'attenzione permanentemente. C'è, invece, chi sembra, o è, timido e tiene per sé le emozioni e le reazioni. Nella musica succede qualcosa abbastanza simile. Molti gruppi sembrano fatti per padroneggiare le scene, per essere protagonisti assoluti con la loro presenza. Ma ci sono altri che la pensano diversamente. Sono gruppi che basano la propria musica nell'introspezione e nella profondità. Sono gruppi che guardano verso l'interno e raccontano quello che vedono.

Il disco del quale vi parliamo quest'oggi appartiene a quella seconda categoria. Your Wilderness dei The Pineapple Thief è un disco bellissimo, vellutato. Un disco così piacevole da non essere mai invadente, mai frenetico, mai violento. Allo stesso tempo quest'opera è nostalgica ed introversa.
Per fare un paragone piuttosto semplice vi posso dire di pensare ai lavori dei Porcupine Tree dove, oltre alla parte più progressiva, quello che prende il protagonismo è quella nostalgia intrinseca. I The Pineapple Thief sono in perfetta linea con quella sensazione. E' un filo conduttore fondamentale perché fa girare tutt'intorno la parte strumentale e quella vocale. 



E' interessante ascoltare questo disco e confrontarlo con altri lavori di diversi gruppi contemporanei. Quello che viene fuori è che il rock progressivo principalmente si è diviso in due correnti molto diverse. La prima è quella dove la tecnica si esalta a tal punto di diventare quasi un esercizio accademico di bravura e dedizione dove suonare quanto più velocemente possibile significa essere il più bravo. L'altra corrente è quella che prende certe caratteristiche del genere, soprattutto quelle della libertà delle strutture musicali, e le fa lavorare in funzione al messaggio da far arrivare all'ascoltatore. Per fortuna i The Pineapple Thief appartengono a questa seconda categoria.

Your Wilderness è un disco che da l'idea di essere stato registrato con passione, con trasporto. E' un disco che si costruisce con testure che si sovrappongono come si sovrappongono i materiali edili che mettono in piedi un monumento. Tranne la voce non c'è una vera esaltazione di alcun strumento ma, allo stesso tempo, tutto quel che viene suonato ha un ruolo fondamentale. In questo contesto ha tanto senso aggiungere, su certi punti, dei rumori sintetici che accrescono il risultato finale. Questo è un disco nostalgico quanto è nostalgica la voce di Bruce Soord, la mente dietro al gruppo. E' un lavoro che fa pensare a luce tenue, ad una leggera brezza che s'infila da una finestra. Bisogna saper ascoltarlo perché non è un disco per masse, non è un disco da ora di punta, e quella consapevolezza è essenziale per apprezzarlo bene. E' un disco che merita un ascolto concentrato perché restituisce il tempo dedicato con una serie di evocazioni interne. E' un lavoro che ha quella capacità, quella di pescare dentro dell'ascoltatore sensazioni e ricordi.



La open track, In Exile, inizia ad introdurci quello che ci aspetta. E' un brano concreto dove voce e base strumentale dialogano alla perfezione alternandosi il protagonismo. No Man's Land, è un brano prezioso. Un crescente sentimento che esplode portandoci in estasi fino alla fine. Senza paura posso affermare che è uno dei brani più interessanti di questo 2016. La nostra terza ed ultima segnalazione è The Final Thing On my Mind. Brano che tocca i quasi 10 minuti regalando momenti psichedelici ed altri progressivi. E', forse, il brano dove si apprezza al meglio l'idea di testure che si sovrappongono, che appaiono e spariscono asseconda di quello che si presta meglio alla costruzione del brano. 



Your Wilderness è un lavoro impeccabile che non lascia dettagli incompiuti. E' una finestra aperta verso il nostro interno, verso le zone del cervello dove si sviluppano le emozioni che, inevitabilmente, si collegano ai ricordi. Questa è la grande forza di questo lavoro, perché va oltre a qualsiasi etichettatura, ed infondo qual'è la cosa importante? Per me che la musica riesca a farci sentire delle emozioni e questo disco lo fa. Assolutamente da ascoltare.

Voto 9/10
The Pineapple Thief - Your Wilderness
Kscope
Uscita 12.08.2016

mercoledì 17 agosto 2016

Russian Circles - Guidance: O come dipingere con la musica

(Recensione di Guidance dei Russian Circles)


Quando siamo di fronte ad una tela dove c'è dipinto un paesaggio abbiamo due alternative. O quello che c'è d'avanti ai nostri occhi è un paesaggio e basta o il pittore è riuscito a plasmare in quel quadro tutte le sue emozioni usando quel paesaggio come pretesto o riuscendo a stabilire tra quel posto e il suo stato d'animo una connessione speciale e particolare.
Ho sempre considerato che la musica strumentale, al di là del genere specifico, scelga quella linea. Dev'essere una musica evocativa che riesca a trasmettere stati d'animo senza l'ausilio della voce o di un testo. La sfida è complessa, soprattutto perché è molto facile cadere nell'ovvietà.

Per la prima volta, da quando esiste questo blog, vi parlo di un disco strumentale. Non è un disco qualsiasi perché gli interpreti sono di tutto rispetto. Parlo dei grandi Russian Circles. Troppo cattivi da essere una band post rock, troppo luminosi da essere un gruppo post metal i Russian Circles sembrano nuotare in pace e pieni di piacere in queste acque di mezzo. Il loro ultimo lavoro, Guidance, ci regala l'ennesima conferma di tutto ciò. 




In tutta onestà devo esporre le mie perplessità su questo binomio "post", sia rock sia metal. Strumentalmente trovo sempre che c'è una capacità interpretativa incredibile, una versatilità messa ad uso dell'emotività, un esemplare modo di ragionare. Allo stesso tempo, però, penso che è un genere che ha dei grossi limiti perché difficilmente si può spingere così tanto la creatività da non sembrare reiterativi, correndo il rischio che, a lungo andare, tutto suona uguale e quando arriva la quarta traccia uno inizia a chiedersi cosa c'è di nuovo. Potrà essere un mio limite ma è così.
Purtroppo questa perplessità trova eco in questo nuovo lavoro della band di Chicago. Appena inizia l'LP l'entusiasmo è a mille. I giochi ritmici tra i tre strumenti, chitarra, basso e batteria, sembrano originalissimi, ben pensati, diretti e piacevoli. C'è un grande intercalarsi di momenti diversi, andando da momenti di grande ambiente onirico fino alla crudezza dei ritmi sincopati e del basso distorto. Dopo la quarta traccia, però, inizia a farsi strada un certo genere di sofferenza, l'impressione che le carte siano state rimescolate ma che siano sempre le stesse. La colpa non è dei Russian Circles ma del genere, o dei generi, che hanno deciso di cavalcare. Il loro scorso disco, Memorial, si chiudeva con una canzone cantata ed era bellissimo, era una boccata d'ossigeno che qua non c'è. La loro collaborazione con Chelsea Wolfe faceva ben sperare, in quanto a che si poteva pensare a qualche variazione, a qualche elemento nuovo da aggiungere. Invece il trio insiste utilizzando la formula che conosce, e padroneggia, molto bene. 

Spendo, però, delle belle parole verso questo Guidance. Bisogna farlo perché, anche se vi ho illustrato tutta una serie di elementi "limitanti", si tratta di un disco fatto molto bene. Pensiamo che il risultato di quello che ci arriva è la costruzione di un trio e la pienezza raggiunta è da celebrare. Naturalmente l'effettistica sulla chitarra è essenziale perché diventa la voce portante. Il sopporto della sezione ritmica è fondamentale. La batteria è il collante che stoppa e da il via a tutte le parti, ai cambi, ai momenti di climax e quelli di rilascio. Il basso, prevalente distorto, riempe nel modo giusto senza che si senta la mancanza di un quarto strumento.


A dare un quadro complessivo posso dire che inizio e finale del disco sono ottimi. La sequenza dei primi tre brani, Asa, Vorel e Mota, legati in tal modo di sembrare un brano unico, è spettacolare, uno degli esempi meglio riuscito dentro a quel mondo chiamato "post". Il brano di chiusura, Lisboa, è molto interessante perché si trova a metà distanza tra le parti più lente e quelle più incisive. Per chi conosce la capitale portoghese sarà anche facile evocare quelle piccole piazze che si sviluppano qua e là capricciosamente quanto sono capricciose le stradine che salgono per il Bairro Alto
Intendiamoci, i tre brani centrali sono piacevoli ed interessanti, suonano molto bene ed ascoltati singolarmente riescono a brillare di luce propria. Il problema è che, messi in contesto, diventano leggermente simili ad altri già ascoltati e perdono valore. Le cause di ciò sono attribuibili, come ho già indicato, ai limiti naturali di questo genere musicale e personalmente le riscontro in tutti, o quasi, i dischi post rock o post metal che ho ascoltato, soprattutto se sono di matrice esclusivamente strumentale.



Guidance è una certezza. Una conferma di un gruppo che si è conquistato il suo proprio spazio a colpi di creatività e di qualità, grande qualità. La pecca, per i miei gusti personali, sta nell'eccessiva sicurezza che non lascia spazio a delle incursioni fuori strada che regalerebbero ventate di novità. La tela dipinta dai Russian Circles emoziona ma con l'aggiunta di dettagli inaspettati sarebbe fenomenale. 

Voto 8/10
Russian Circles - Guidance
Sargent House
Uscita 05.08.2016

domenica 14 agosto 2016

Les Discrets - Virée Nocturne: l'azzardo di spingersi dalla curiosità

(Recensione di Virée Nocturne di Les Discrets)


Ci saranno sempre tanti dibattiti su qual'è il vero motore del mondo. L'essere umano, storicamente, è stato spinto da certe cose nella propria strada portando, così, nuove scoperte e significativi passi in avanti. Senz'altro la curiosità è uno di questi motori. La voglia di sapere cosa c'è fuori dal proprio spazio o di vivere quello che non fa parte delle nostre proprie vite, ecco cosa spinge tanta gente a rischiare, a arrivare ad un punto dal quale non c'è più ritorno.

Oggi celebriamo questo concetto: la curiosità. Lo facciamo grazie al EP che anticipa quello che sarà il nuovo disco dei francesi Les Discrets, la cui uscita è prevista per i primi mesi del 2017. Saranno mesi di grande attesa perché quest'assaggio, chiamato Virée Nocturne, incuriosisce parecchio. Uno degli significati di "virée" è quello di virata. Cioè un cambio di direzione abbastanza radicale. Mai un titolo è stato così riassuntivo di un lavoro. Questo nuovo EP della band francese è un cambio di rotta molto importante mantenendo, però, tutto quell'ambiente dark che si può riassumere nell'altra parola del titolo "nocturne". 




L'elettronica sembra essere una calamita così potente che tanti gruppi finiscono per flirtare con lei. E' successo ai grandiosi norvegesi dei The Third and the Mortal e agli Ulver. E' successo ai geniali Kayo Dot e anche nel loro ultimo lavoro gli Anathema hanno aperto una finestra verso quel mondo. Non è un caso, la sperimentazione in quel campo musicale sembra essere infinita e molto contemporanea.
Les Discrets l'hanno capito e hanno voluto muovere il loro baricentro da quella intimità garantita dal shoegaze dipinto di post rock verso un altro genere d'intimità: quella dell'ambient presente negli elementi propri da un altro genere: il trip hop.
Questo Virée Nocturne è essenzialmente un EP trip hop perché risponde a tutte le premesse richieste da questo genere. L'intreccio tra elementi elettronici e le chitarre creano una base perfetta per la voce, esageratamente processata. La grazia sta, però, nella personalità impressa dal gruppo nelle quattro tracce di questo disco. Non è facile paragonare queste canzoni con alcun altro gruppo esistente perché l'essenza di Les Discrets è sempre intatta. Un'essenza che, tra l'altro, gli allontanava già da tanti gruppi shoegaze. Quell'immaginario dark che gli avvicina tanto alla new wave ma soltanto come estetica, che si unisce con la poetica romantica del francese sono sempre presenti in questo nuovo lavoro.




Ecco allora che bisogna buttar già qualche tesi che spieghi questa virata notturna. Personalmente quella meglio accreditata è quella della curiosità e delle caratteristiche ottimali offerte dal lavoro di programmazione, un lavoro che diventa molto intimo nella testa e nell'esecuzione. 

Per completare il quadro devo dire, però, che un po' mi manca quell'energia scura che riuscivano a trasmettere i brani dei lavori scorsi della band. Qua l'emotività è molto più lineare senza che ci sia spazio al pathos che molto spesso era protagonista. Questo è un bel EP, composto dalla title track, che sarà uno dei brani di Prédateurs, futuro LP della band francese, da un brano inedito, Capricorni. Virginis. Corvi, una demo, Le Reproche, che troveremo nel futuro album, e un remix di Virée Nocturne. E' un lavoro che funziona bene nel tempo che deve durare. La domanda è se funzionerà bene andando oltre ai tre quarti di durata. 



Ci rimane la curiosità e la voglia di ascoltare il futuro disco della band per capire se la virata è stata un azzardo brillante o se era meglio mantenersi dentro alle acque tranquille e prestigiose che Les Discrets avevano saputo conquistarsi. Non ci resta altro che aspettare.

Voto 7,5/10
Les Discrets - Virée Nocturne
Prophecy Productions
Uscita 12.08.2016

giovedì 11 agosto 2016

Sweet Child O' Mine o come i Guns 'n Roses conquistarono l'Isola di Pasqua

Appena aprì gli occhi il suo pensiero fu lo stesso di tutte le mattine, salire la collinetta che stava affianco alla sua casa e guardare il mare. I vecchi dell'isola gli avevano insegnato a predire come sarebbe stato il tempo durante la giornata guardando il colore del mare. Quella mattina era blu turchese, dunque si prospettava una giornata serena. 
Dopo aver fatto una colazione a base di frutti e di Po'e, una specie di torta di zucca, farina e banana, scese in paese.
Come al solito le strade erano piene di turisti che imprimevano il ritmo della città. Per lui quei turisti erano una fonte d'ispirazione. Amava la sua terra e non voleva assolutamente lasciarla ma sentiva un fascino verso quel mondo così lontano e diverso. Quando guardava in tv le immagini del mondo rimaneva affascinato con la monumentalità di certe città. Sull'isola non c'erano palazzi, non c'erano superstrade ed era tutto a portata d'uomo.
Il suo sguardo verso i turisti era, in tutti i casi, chirurgico. C'era solo una vera categoria che l'interessava e che era abbastanza facile da scovare. Quando vedeva magliette di gruppi rock, capelli lunghi ed una serie di accessori che richiamavano il rock sapeva che doveva avvicinarsi a quelle persone. Aveva 25 anni e il suo fisico era abbastanza imponente. Era alto, aveva la pelle olivastra e dei lunghissimi capelli ricci di un nero prepotente che teneva quasi sempre legati. Era parte dell'esotismo che molti turisti cercavano ed usava quella qualità, ma il suo scopo era sempre uno: sapere le novità nel rock, sapere cosa stavano facendo i gruppi che conosceva e quali erano le nuove leve, i nuovi nomi che non poteva farsi sfuggire.



Dieci anni prima la sua vita era cambiata. Andava al liceo e quando al primo giorno di scuola fu introdotto alla sua classe un ragazzo che evidentemente veniva dal continente. Il suo nome era Martín e suoi capelli erano dorati come l'oro e sembravano sempre spettinati. 
Lui, come tanti dei suoi compagni, all'epoca assorbivano tutto il fervore del patriottismo dell'isola. Rapa Nui non era parte di alcuna nazione ma un territorio che si doveva autogestire. Per quello ogni volta che aveva a che fare con qualcuno del continente cercava di mettere quanta più distanza tra lui e "l'invasore".



Non avrebbe mai pensato che, invece, quella volta quel biondo le avrebbe cambiato la vita. 
Nelle settimane successive lo guardava con curiosità infinita per via di quel walkman dal quale uscivano poche note molto energiche che non avevano nulla a che fare con la musica folcloristica del posto. Erano ritmi travolgenti e suoni di chitarre elettriche che urlavano. 
Alle ricreazioni il nuovo arrivato si chiudeva su se stesso grazie alle sue cuffie e ai giornali pieni di fotografie di gruppi che facevano del nero e della pelle gli elementi predominanti. C'era una che richiamava sempre la sua attenzione già solo per via del titolo: Kerrang.
Il fascino fu così trascinante che senza rendersi conto si ritrovò a parlare con l'ultimo arrivato. Quando entrambi scoprirono di essere due persone in gamba s'instaurò una bellissima relazione d'amicizia. Fu grazie a Martín che portò a casa le sue prime cassette di rock per disperazione della madre, così devota da piangere ripetutamente affermando che il demone voleva prendersi il figlio amato. Per fortuna il padre era di vedute più ampie e capiva che a quindici anni la ribellione faceva parte dello sviluppo.
Un anno dopo l'amico che l'aveva introdotto al rock lasciò l'isola. Il suo passaggio così veloce  rispondeva al lavoro del padre, un capitano di Marina che dopo solo dodici mesi si vide assegnato ad un'altra località. Il giorno prima di partire Martín andò a casa del suo amico pasquense a lasciargli un dono. Era una cassetta originale che raffigurava sulla copertina una croce con sopra cinque teschi con capelli, occhiali, cappelli ed accessori vari. Guns'n Roses - Appetite for Destruction. Troppo preso da questo regalo da non capire che l'amico si stava congedando, forse per sempre, corse nella sua stanza a ascoltare la prima cassetta originale della sua vita. Il primo giorno la ascoltò sete volte. Il giorno dopo dieci. Per un mese di fila non riuscì ad ascoltare altro. Era una mescola di aggressività, divertimento e melodie che s'incastravano in testa. Non aveva mai ascoltato una voce come quella di Axl Roses e gli assoli di quel chitarrista che si chiamava semplicemente Slash gli sembravano una cosa superlativa. Non capiva l'inglese ma pensava di riuscir a cogliere il senso delle parole che facevano parte dell'immaginario rock fatto di eccessi e donne. Insomma, il famoso Drug, Sex and Rock'n Roll.
C'era un brano che l'aveva segnato particolarmente per via del riff di chitarra. Si chiamava Sweet Child O' Mine.
Proprio quell'anno insistendo ed insistendo riuscì a farsi comprare la prima chitarra elettrica e giorno dopo giorno si buttò su di essa fino a riuscir a suonare quel riff.



Pensava spesso a Martín. Non l'aveva più rivisto. Erano passati dieci anni. Nel suo presente c'era solo la musica. Col suo gruppo avevano registrato un disco che era stato celebrato da tutti i giovani dell'isola. Aveva deciso di suonare quel hard rock che tanto lo affascinava mescolandolo con elementi autoctoni. Infatti tutte le canzoni erano cantate in rapanuense ed esaltavano le bellezze dell'isola. 
Il loro successo locale si era confermato in due cose. La prima era il fatto che tra poco sarebbero entrati in studio a registrare il loro secondo disco. La seconda era che ogni volta che suonavano, una volta al mese circa, i loro concerti erano catartici e, come se fossero delle vere rock star, salivano sui tavoli mentre suonavano e facevano cantare i propri brani al pubblico locale che conosceva a memoria ogni singola parola.
C'era una cosa che facevano sempre nello stesso modo. Era chiudere i concerti con lo stesso brano: la loro cover di Sweet Child O' Mine. Musicalmente era praticamente simile all'originale. La differenza stava nelle parole. Era tanto il fascino verso il brano che dopo diversi tentativi falliti finalmente era riuscito a trovare qualcuno disposto a tradurre allo spagnolo le parole cantate da Rose. Fu una delusione. Quella ragazza descritta nel brano era banale ed irreale, non era una storia felice. Lui, invece, pensava che la canzone parlasse di una vera dea, di una donna unica ed inarrivabile. Per quello si era messo a riscrivere quel testo per avere la stessa dimensione nella musica e nelle parole. Era la sua versione e veniva dal profondo. Per quello era diventata la chiusura perfetta di tutte le loro serate. 

martedì 9 agosto 2016

Dischi d'ascoltare (almeno) una volta nella vita: Alternative 4 degli Anathema

(Recensione di Alternative 4 degli Anathema)


Sono un fervente credente nella capacità educativa della musica fino al punto di utilizzarla spesso nei miei percorsi come formatore. Credo che la musica ha l'universalità necessaria che permette di comunicare senza troppe barriere. Andando più sul personale posso dire che molte cose le ho imparate grazie alla musica, e molte emozioni le ho provate per la prima volta ascoltando qualche disco o qualche brano sparso.

Il disco del quale vi parlo quest'oggi entra perfettamente in questa descrizione. Eh sì, perché grazie ad Alternative 4 ho provato per la prima volta tristezza, ma non qualsiasi genere di tristezza. Non quella tristezza troppo forzata e convenzionale di fronte alla quale è, anche, mal visto non provare dispiacere. No, la tristezza di Alternative 4 è una tristezza pura, essenziale, naturale, e, di conseguenza, bellissima. Per come sono molto spesso mi entusiasma molto di più l'immaginario "triste" e non quello "felice". Come scrissi qualche volta: la tristezza mi rende felice. La felicità che provo, di nuovo, ogni volta che ascolto questo disco è inenarrabile ed è rimasta immutata nel corso degli anni. Tutti questi elementi fanno sì che questo sia, di gran lunga, il mio disco favorito di una band che adoro: gli Anathema.



La cosa interessante di questo disco è che la tristezza dominante e onnipresente si presenta in una miriade di sfumature. E' terribilmente depressiva, è rabbiosa, è una compagna fedele, è una guida ed è una musa che riesce a far tirare fuori le dieci tracce che costruiscono questo capolavoro.

Alternative 4 esce nel 1998 e rappresenta un punto di svolta nella storia degli Anathema per una serie di motivi. Anzi tutto perché è il primo disco che rinuncia alla predominanza delle sonorità doom ma è equidistante da tutti gli altri lavori della band di Liverpool. Infatti è impossibile trovare nella loro intera discografia una disco con questa sonorità. Nessuno è abbastanza gotico come questo, nessuno ha delle tastiere come questo, nessuno è concreto come è concreto quest'Alternative 4. E', tra l'altro, il primo disco dove la voce di Vincent Cavanagh abbandona tutti gli elementi grezzi ed immaturi che si sono sentiti fino ad Eternity. Un'altra particolarità è che questo è l'ultimo disco con Duncan Patterson al basso. Anzi, non bisogna essere così riduttivi, perché il peso di Patterson è essenziale. Proviene da lui la spinta creativa maggiore che costruisce questo disco. Con tutto rispetto verso la sua seguente creatura, gli Antimatter, bisogna dire che, almeno fino ad oggi, non è riuscito a concepire un lavoro così intenso, bello ed indimenticabile.
In altre parole Alternative 4 rappresenta un momento unico dentro alla carriera degli Anathema. In un certo modo è giusto che sia così perché qualsiasi intento d'imitazione avrebbe, sicuramente, dato dei risultati ben poco soddisfacenti. D'altronde se c'è qualcosa che ci insegna la storia della band britannica è che vive di una costante evoluzione regalando, di volta in volta, nuovi elementi.
Fa molto strano pensare che negli ultimi anni gli Anathema siano un band felice e luminosa. Fa strano perché quella stessa band ha scritto questo inno alla tristezza, alla delusione, alla rabbia e, anche, alla rassegnazione. 



La cosa che da un peso immenso a questo disco è che il protagonista dei brani non è altro che l'essere umano. Non ci sono finzioni, racconti o metafore. E' un disco diretto che spara in faccia quello che siamo o che possiamo arrivare ad essere. E' un disco esistenziale ed introspettivo che parla dell'egoismo che ci governa a tal punto di distruggere. E' un disco che parla di come l'IO sia così importante da fregarsene di qualsiasi altra persona tranne di noi.
Il disco è del 1998. Pochi mesi dopo, a Columbine, negli Stati Uniti, due ragazzi, Eric Harris e Dylan Klebold entrarono nella loro scuola ed uccisero dodici alluni ed un insegnante per poi togliersi la vita. Non è stato il primo caso di un massacro del genere ma all'epoca segnò fortemente l'opinione pubblica. Al giorno d'oggi una notizia del genere si ripete con modalità e in posti diversi con una certa frequenza. Perché collego questi elementi? Perché, per me, Alternative 4 non è un disco fatto da quattro depressi ma è un lavoro geniale di chi ha capito che qualcosa stava cambiando, che anche se era iniziata l'era digitale e globale eravamo sempre più soli, così soli da pensare che la vita non vale nulla e che, come se fosse un videogioco, siamo autorizzati a toglierla.
Mi viene un brivido ripensando a quello che succedeva allora e a come viviamo adesso. Forse sarebbe il caso che qualcuno sfornasse un disco analogo a questo.

Cambiamo, però, argomento passando ad un'analisi non troppo profonda degli elementi musicali presenti in questo lavoro. Come abbiamo detto in precedenza questo è un disco di rottura. Gli Anathema si lasciano dietro il doom e dunque ritmicamente c'è tutta una vita nuova. Non soltanto, le chitarre non si giostrano più tra arpeggi melanconici e power chord cupissimi. Sono presenti quando devono e come devono, sono molto più versatili ed opportune. Il protagonismo passa ad altri tre elementi: le tastiere, il basso e la voce. 
Per le prime c'è uno spazio che non era mai stato presente nei dischi della band. Trovano un incastro perfetto dando lo sfondo ottimale sul quale costruire tutto il resto. 
Il basso è maestoso perché regala la profondità necessaria per far entrare ancora meglio il messaggio nella testa dell'ascoltatore. 
La voce è la guida. E' profondamente malinconica e cupa in certi punti per diventare rabbiosa in altri, e lascia uno spiraglio di speranza in altri momenti, giocando con delle armonizzazioni molte ben riuscite. 
Aggiungiamo l'inserimento del violino in un paio di punti nevralgici e il cerchio è chiuso.



Faccio molta fatica a selezionare qualche traccia da consigliarvi perché più che mai siamo di fronte ad un disco che va sentito per intero, dalla prima all'ultima canzone. Sforzandomi posso segnalarvi l'impressionante Shroud of False, un minuto e mezzo e cinque versi che smontano qualsiasi ascoltatore, e Lost Control come i brani che esaltano di più il potere devastante della tristezza. Invece, per quanto riguarda la parte di rabbia, l'ascolto obbligato è di Fragile Dreams, Empty e la title track Alternative 4. Per finire vi posso proporre l'ascolto della bellissima Regret che rappresenta quell'espiraglio di luce che si filtra sempre da una parte o un'altra. Ripeto, però, che tutto il disco merita l'ascolto attento. 

Alternative 4  è un LP che difficilmente non incide sull'ascoltatore. La fortuna, o sfortuna, è che nulla sarà più come prima dopo averlo ascoltato. Ha avuto, su di me, un effetto devastante perché mi ha aperto dei mondi. Credo che grazie a lui i miei gusti musicali si sono reindirizzati e certe cose che ascoltavo fino a quel momento iniziarono a suonare banali e scontate. La sua devastazione è catartica, distrugge per costruire un mondo migliore sopra. Per quello è unico. Per quello è prezioso.

Voto 10/10
Anathema - Alternative 4
Peaceville Records
Uscita 22.06.1998